Pietro Savorgnan di Brazzà (1852- 1905)



Al famoso esploratore Pietro di Brazzà è stato intitolato nel 2007 l’aeroporto del Friuli Venezia Giulia a Ronchi dei Legionari. Questo riconoscimento porta finalmente a conoscenza di tutti l’importanza di un personaggio per molto tempo ignorato in Italia, ma venerato all’estero. Il suo atteggiamento fu infatti sempre di difesa degli africani rispetto alle mire coloniali di sfruttamento e ciò, come sostenne la moglie Therese di Chambrun, probabilmente gli costò la vita.

Il 14 settembre 1905 Pietro a soli 53 anni infatti moriva a Dakar durante il viaggio di ritorno da una missione in Africa, di cui era stato incaricato dal governo francese, per controllare la situazione nella colonia del Congo che ha tuttora per capitale Brazzaville. Questo territorio era stato posto sotto il protettorato francese in seguito alle esplorazioni di Pietro, il quale aveva voluto così salvarlo dalla feroce conquista dell’esploratore Stanley che agiva in nome di Leopoldo II del Belgio. Quando Pietro si accorse che le compagnie commerciali che detenevano il monopolio del caucciù, dell’avorio e degli altri prodotti locali avevano ridotto in schiavitù le popolazioni che egli aveva protetto, scrisse una relazione di denuncia al governo francese che però non giunse mai a destinazione, perché egli morì in circostanze misteriose durante il viaggio di ritorno e fu sepolto in Africa, per volere della moglie, dopo i solenni funerali di stato a Parigi.

Proveniente da una famiglia di viaggiatori per tradizione, Pietro a 8 anni desiderava più di ogni altra cosa esplorare quel luogo segnato con una macchia bianca nella carta dell’Africa che si trovava nella biblioteca di casa nel castello di Brazzacco. La famiglia di Pietro viveva allora tra Roma, da dove proveniva la madre Giacinta, ed il Friuli. A 13 anni, Pietro a Roma frequentava l’astronomo gesuita Angelo Secchi, a cui confidò le proprie inquietudini e la volontà di raggiungere la foce del fiume Ogouè per penetrare nell’agognato paese africano. Padre Secchi lo presentò così all’ammiraglio di Montaignac, ambasciatore francese a Roma, che comandava la flotta di Napoleone III a Civitavecchia. Con i guanti  bianchi presi in prestito alla sorella Maddalena ed i vestiti dei fratelli, visto che era cresciuto a dismisura, Pietro si presentò all’ammiraglio, che rimase colpito dallo sguardo del ragazzo. Lo mandò quindi a Parigi per frequentare il Liceo, poi alla scuola navale di Brest. Nel ’70, durante il conflitto franco-prussiano, fu imbarcato su una nave francese nel mare del Nord, quindi chiese la cittadinanza del paese d’oltralpe, nella speranza che questo gli fornisse i mezzi per raggiungere l’Africa. Grazie agli appoggi di cui godeva a Roma, Pietro riuscì ad imbarcarsi sulla fregata Venus che in Atlantico sorvegliava la costa occidentale africana, per contrastare il fenomeno della schiavitù. Quando la nave approdò a Capo Lopez, Pietro chiese al comandante di poter essero libero di inoltrarsi nell’entroterra per 10 giorni. Fece quindi un primo rapporto proponendo una vera e propria esplorazione nel territorio solcato dal fiume Ogouè, e gli fu concesso di realizzarla. Partì nel 1874 e in tre anni risalì il fiume. Per i vent’anni di esplorazioni che seguirono fu spesa una fortuna, sostenuta in gran parte dalla famiglia Brazzà.

Mentre Stanley occupava con metodi crudeli una parte del Congo in nome del re Leopoldo II del Belgio, che ne acquisiva la proprietà, Pietro, giunto presso la tribù dei Batekè, si rivolse al loro re Makoko con il quale di sua iniziativa stipulò nel 1880 un trattato che istituiva in quel territorio un protettorato della Francia, affinchè i Belgi non vi si insediassero. Pietro quindi convinse i Francesi, inizialmente riluttanti, a sottoscrivere il documento.

Le ceneri di Pietro e della sua famiglia sono state trasportate, a seguito delle celebrazioni per il centenario della morte, in un mausoleo eretto a Brazzaville, unica capitale africana ad aver mantenuto il nome ricevuto in epoca coloniale.

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